Torno a pubblicare un racconto della catena, dopo questo lungo silenzio. Si ricollega al racconto di Prisca, Friabile, mediante la frase "ricordo mai esistito".
Vi anticipo che questo brano era nato come un "racconto di S.Valentino", sdolcinato e leggero, poi il 14 febbraio è passato, tra una cosa e l'altra, così la storia si è complicata. Insomma, non è sempre Natale. (che genio - direte voi - se è S. Valentino non è Natale!)
Non avevo mai scritto nulla di "rosa", il nostro gioco mi è sembrato una buona occasione.
Ambientazione: molo
Incipit: Immerso
nei suoi pensieri – tradotto liberamente da “Left
to my own devices”
Parole da utilizzare: sfuocato, nauseabondo, naftalina e cascata.
Caramello,
di
Elio Brunetti
Immerso
nei suoi pensieri, con lo sguardo perso da qualche parte oltre
l'orizzonte, Simone inspirava masochisticamente, saturandosi di
gasolio, o perlomeno così gli pareva. In altri giorni avrebbe
sentito la brezza salmastra, scrutando le onde avrebbe respirato
quell'aria ricca di iodio un po' come un bambino mangia un gelato al
parco d'estate; e invece no, al posto delle navi di sempre, maestose
e libere, c'erano quegli ammassi di latta da quattro soldi, messi lì
a dondolare davanti a lui per deturpargli il panorama mentre il
bunker oil, sospinto verso la riva dal vento, lo intossicava con le
sue esalazioni. Ora più che mai, odiava sé stesso per conoscere
quello stupido termine, ce l'aveva a morte con tutti i carburanti e
coi loro mille nomi ridicoli, assurdi almeno quanto la pretesa di
farli sembrare diversi, ed era fermamente convinto di aver fatto una
pessima scelta decidendo di passare il pomeriggio al molo. La
caramella che aveva in bocca era divenuta una pallina di naftalina,
la sputò in acqua e la osservò affondare.
Niente di quel posto era come se lo ricordava, e dire che c'era stato appena una settimana fa. Sette giorni prima, c'era molto più sole; le correnti erano sbuffi eterei ed il tempo aveva rinunciato ad ogni logica, a quella sua prevedibile sequenzialità. Ripescando nella propria memoria, una frase pareva responsabile per l'origine di tutto questo, quattro parole pronunciate a mezza voce, rivolte a tutti e a nessuno:
- Qualcuno vuole un Twix? -. Poco più in là, due ragazze un po' denutrite affrontavano un serrato dibattito, gesticolando a più non posso, un po' come se avessero voluto affettare l'aria con le loro mani sottili; dei ragazzi ridacchiavano chiassosamente, due stavano con la schiena appoggiata al muro, altri tre posti di fronte a loro chiudevano il cerchio, quasi piegati dalle risate, mentre la loro amica bionda, divenuta improvvisamente bordeaux in volto, non sapeva se fare la disinvolta od andarsene; altri studenti andavano e venivano, schivando quelli fermi lì in piedi a bere il caffè o a soffiarci dentro, se era troppo caldo. Quella domanda si librò delicatamente nel rumore di fondo, alcuni di loro si girarono, distrattamente, come a scacciare una mosca posatasi su una guancia, per poi tornare in men che non si dica alle loro occupazioni, per non restare indietro rispetto a chi non si era voltato affatto.
Niente di quel posto era come se lo ricordava, e dire che c'era stato appena una settimana fa. Sette giorni prima, c'era molto più sole; le correnti erano sbuffi eterei ed il tempo aveva rinunciato ad ogni logica, a quella sua prevedibile sequenzialità. Ripescando nella propria memoria, una frase pareva responsabile per l'origine di tutto questo, quattro parole pronunciate a mezza voce, rivolte a tutti e a nessuno:
- Qualcuno vuole un Twix? -. Poco più in là, due ragazze un po' denutrite affrontavano un serrato dibattito, gesticolando a più non posso, un po' come se avessero voluto affettare l'aria con le loro mani sottili; dei ragazzi ridacchiavano chiassosamente, due stavano con la schiena appoggiata al muro, altri tre posti di fronte a loro chiudevano il cerchio, quasi piegati dalle risate, mentre la loro amica bionda, divenuta improvvisamente bordeaux in volto, non sapeva se fare la disinvolta od andarsene; altri studenti andavano e venivano, schivando quelli fermi lì in piedi a bere il caffè o a soffiarci dentro, se era troppo caldo. Quella domanda si librò delicatamente nel rumore di fondo, alcuni di loro si girarono, distrattamente, come a scacciare una mosca posatasi su una guancia, per poi tornare in men che non si dica alle loro occupazioni, per non restare indietro rispetto a chi non si era voltato affatto.
-
Nessuno voleva prendere un Twix? - ritentò timidamente lei,
sfoggiando un sorriso un po' imbarazzato.
- Io
pensavo a qualcosa del genere... - si era fatto avanti Simone, senza
capire bene cosa volesse quella ragazza.
- Ecco, ho premuto 50 per la barretta di muesli ma è uscito questo... Magari, se riesci a prendere la barretta, ce li scambiamo! -. Terminata la frase, scosse la testa per spostare la ciocca ribelle che le era finita di fronte agli occhi, quindi allargò il sorriso più che poté.
Era davvero carina, con quei suoi modi spontanei e gli occhioni grandi, da cerbiatta, irrequieti dietro alla montatura spessa che si appoggiava appena sulla punta del naso, come sostenuta da un filo invisibile. Aveva lunghi capelli castani, lisci si sarebbe potuto dire, o lievemente ondulati, sebbene si scatenassero ad ogni impercettibile movimento di lei. - 50 è il prezzo, per la barretta devi premere 32 – disse lui mentre eseguiva le sue stesse indicazioni, cercando un tono di voce adatto a non sembrare saccente - Tieni - concluse passandole la barretta, ricambiando il sorriso di lei.
- Ecco, ho premuto 50 per la barretta di muesli ma è uscito questo... Magari, se riesci a prendere la barretta, ce li scambiamo! -. Terminata la frase, scosse la testa per spostare la ciocca ribelle che le era finita di fronte agli occhi, quindi allargò il sorriso più che poté.
Era davvero carina, con quei suoi modi spontanei e gli occhioni grandi, da cerbiatta, irrequieti dietro alla montatura spessa che si appoggiava appena sulla punta del naso, come sostenuta da un filo invisibile. Aveva lunghi capelli castani, lisci si sarebbe potuto dire, o lievemente ondulati, sebbene si scatenassero ad ogni impercettibile movimento di lei. - 50 è il prezzo, per la barretta devi premere 32 – disse lui mentre eseguiva le sue stesse indicazioni, cercando un tono di voce adatto a non sembrare saccente - Tieni - concluse passandole la barretta, ricambiando il sorriso di lei.
Lei rise, cercò
di ricomporsi, quindi scoppiarono a ridere entrambi. Iniziarono a
chiacchierare e continuarono senza sosta, scherzando senza imbarazzo
e saltando di palo in frasca con estrema naturalezza, per essere
interrotti solamente dalle lamentele della fila che si era formata
dietro di loro, che se ne stavano ancora lì, l'uno di fronte
all'altra, proprio davanti alla macchinetta. Si chiamava Desirée,
faceva pernacchie ai comizi dei politici od ogni volta che ne
nominavi uno, sognava di passare le successive estati viaggiando in
un furgoncino Volkswagen, amava la danza e non aveva più sciato da
quando, a sette anni, le erano venuti i geloni ai piedi.
Simone doveva
tornare sui libri, così la salutò e le diede appuntamento a più
tardi, dirigendosi verso la sala studio mentre lei prendeva una
seconda barretta da sgranocchiare fra una pagina e l'altra. Gli
ronzava ancora in testa la sua voce, quella parlantina vivace e
spregiudicata con cui in pochi minuti era riuscita a toccare tasti
solitamente premuti solo in situazioni di grande confidenza. Si
sforzava di mantenere la calma, di lì a poco doveva ricominciare a
studiare, ma in qualunque direzione cercasse di indirizzare la sua
mente, vi trovava sentieri segnati da briciole che una volta percorsi
riportavano a lei. Non aveva ancora raggiunto la sedia, quando sentì
un dito tamburellargli la spalla, quindi si voltò:
- Ho un regalo per
te, ho sbagliato di nuovo! - bisbigliò lei sorridendo, turbando per
un istante l'equilibrio di quella sala silente, come una goccia che,
staccatasi dal rubinetto, impatti l'acqua queta dentro a una vasca da
bagno.
“Che svampita!”,
aveva pensato Simone, mentre prendeva lo snack dalle sue mani,
avvertendo un inaspettato turbamento, come ci fosse molto di più, in
quel semplice gesto.
Il suo senso
dell'umorismo le andava a genio, non che dicesse cose particolarmente
insolite o che fosse un comico nato, ma aveva cercato da subito una
loro dimensione, senza nemmeno rendersene conto erano divenuti
gli unici abitanti di una bolla in cui ogni gesto ed ogni battuta
erano relativi ad un gioco che era solamente loro. Ad un
primo sguardo era difficile notare in lui un tratto distintivo, era
alto un po' più della media, capelli scurissimi, corti e poco
curati, di certo non vestiva in modo appariscente, ma aveva occhi
neri talmente profondi da dare un senso di vertigine a chi li
osservasse attentamente: Desirée vi era scivolata dentro e faticava
ad uscirne. Per questo aveva accettato di andare sul lungomare con
lui il pomeriggio successivo, sebbene lo conoscesse appena: non era
stata una vera e propria decisione, ma si sentiva felice e smarrita,
era in balia di un cocktail di emozioni forti e confuse, intenso
abbastanza da farle abbassare la guardia.
Tornato a casa
poco prima di cena, Simone salutò il padre e si diresse in camera
sua, per poi distendersi immediatamente sul letto. Per un po' tenne i
piedi sospesi in aria, quindi si stufò e si sfilò le scarpe senza
aiutarsi con le mani. Non ne sentì nemmeno il tonfo: respirava
affannosamente, gli mancava l'aria; aprì la felpa e slacciò i
pantaloni, cercando un'improbabile identità di comodità e
tranquillità. Perché le aveva chiesto di uscire? Era stata senza
dubbio una pessima idea, o più che un'idea, una pulsione istintuale,
le parole gli erano uscite di bocca senza che avesse potuto pensarci.
Era stato a letto con altre due donne, da quando le cose con Elisa erano andate a scatafascio, ma erano state esperienze misere ed inconsistenti. Non che loro ne avessero colpa, poverine, lui aveva anche creduto di volerle. In entrambi i casi si era reso conto del contrario nel momento peggiore, mentre, sudati ed avvinghiati, ansimavano insieme: le aveva osservate, stranito, si era scusato e se n'era andato senza finire. Alcune ore dopo quella prima brutta esperienza, si era reso conto di quanto fosse stato squallido lasciarla così all'improvviso, poteva quasi sembrare si fosse ricordato di avere un impegno più importante, mettendo fine al loro rapporto senza spiegazioni, come avesse chiuso un libro privo di mordente. Quando era uscito con la seconda ragazza era partito con la speranza che le cose potessero funzionare e si era ripromesso che in ogni caso avrebbe avuto un comportamento più rispettoso: tutto era andato bene, così bene che avevano finito per perdere il controllo, a casa di lei, sdraiati davanti al caminetto. Le aveva accarezzato l'ombelico, era sceso con le labbra fino a baciarla, soavemente, tra le cosce; una carezza dopo l'altra, era entrato dentro di lei, che gemeva delicatamente e stringeva a sé la schiena di lui. D'un tratto, Simone si era visto in quell'atto d'amore come avrebbe potuto guardare al più orrendo dei crimini: odiava il corpo di lei e odiava sé stesso per essere arrivato fino a quel punto, pensò a quanto fosse assurdo avercela così tanto con una persona incolpevole e quindi sentì che continuando le avrebbe fatto un torto ancora più grande. Dopo averle accennato qualcosa, si era infilato i pantaloni, con dentro chiavi e portafoglio, ed era corso via, scalzo e a torso nudo, mentre fuori nevicava.
Era stato a letto con altre due donne, da quando le cose con Elisa erano andate a scatafascio, ma erano state esperienze misere ed inconsistenti. Non che loro ne avessero colpa, poverine, lui aveva anche creduto di volerle. In entrambi i casi si era reso conto del contrario nel momento peggiore, mentre, sudati ed avvinghiati, ansimavano insieme: le aveva osservate, stranito, si era scusato e se n'era andato senza finire. Alcune ore dopo quella prima brutta esperienza, si era reso conto di quanto fosse stato squallido lasciarla così all'improvviso, poteva quasi sembrare si fosse ricordato di avere un impegno più importante, mettendo fine al loro rapporto senza spiegazioni, come avesse chiuso un libro privo di mordente. Quando era uscito con la seconda ragazza era partito con la speranza che le cose potessero funzionare e si era ripromesso che in ogni caso avrebbe avuto un comportamento più rispettoso: tutto era andato bene, così bene che avevano finito per perdere il controllo, a casa di lei, sdraiati davanti al caminetto. Le aveva accarezzato l'ombelico, era sceso con le labbra fino a baciarla, soavemente, tra le cosce; una carezza dopo l'altra, era entrato dentro di lei, che gemeva delicatamente e stringeva a sé la schiena di lui. D'un tratto, Simone si era visto in quell'atto d'amore come avrebbe potuto guardare al più orrendo dei crimini: odiava il corpo di lei e odiava sé stesso per essere arrivato fino a quel punto, pensò a quanto fosse assurdo avercela così tanto con una persona incolpevole e quindi sentì che continuando le avrebbe fatto un torto ancora più grande. Dopo averle accennato qualcosa, si era infilato i pantaloni, con dentro chiavi e portafoglio, ed era corso via, scalzo e a torso nudo, mentre fuori nevicava.
Erano
passati circa due mesi, da allora. Quelle ragazze, carine e gentili, ciascuna a suo modo, poco c'entravano con l'accaduto ed il punto era proprio
questo: andata in pezzi la storia con Elisa, nulla sembrava più
avere a che fare con lui, con la sua vita. Nemmeno lui stesso.
Faticava enormemente a riconoscersi, proiezione sfuocata del Simone
di sempre, provava a studiare e ad andare avanti, giorno dopo giorno,
ma più rifletteva più si convinceva che lei, in quell'addio si
fosse portata via un'enorme parte di lui, assieme al pigiamino viola
e alle altre carabattole che aveva sparso per casa. Come se,
con il lungo tempo passato insieme, avessero finito per fondersi in
una creatura sola, avente due personalità distinte ma sempre in un
contatto profondo, al punto di provare le stesse emozioni: quando se
n'era andata, in quella scissione frettolosa lei aveva guadagnato
almeno un rene e mezzo polmone, lasciandolo inevitabilmente e
insanabilmente guasto. Se si escludevano le cotte infantili, non
aveva amato altre ragazze oltre ad Elisa: per assurdo, era sempre
stato bene con sé stesso, in precedenza, e non aveva mai avvertito
particolari mancanze. Adesso invece si sentiva perennemente solo,
sensazione che alle volte si acuiva quando si
trovava in mezzo alla gente, perché diveniva palese che il suo
vuoto, difetto anatomico, non poteva essere colmato. Lei avrebbe
saputo come fare, poggiando testa e riccioli sul
petto di lui, ma lo aveva tradito e non si sarebbe mai perdonata per
questo: anche se lui ci fosse riuscito, non sarebbe bastato. Era
finita.
Simone aprì gli
occhi: a quanto pareva, si era addormentato; tutto sommato, non
doveva essere poi così nervoso, se si era appisolato. Ripensò allo
sguardo vivace di Desirée e rise, immaginandola in vacanza su un
furgoncino arcobaleno pieno di hippie ancora più suonati di lei. No,
passare un po' di tempo con quella ragazza non avrebbe proprio potuto fargli
male.
Parcheggiarono lo
scooter di lui a pochi metri dal molo, lei scese e liberò i lunghi
capelli dal casco, che immediatamente presero la piega suggerita dal
vento, ancora e ancora, parrucchiere instancabile e mai pienamente
soddisfatto. Simone poteva ancora sentire le mani di lei premute sul
suo ventre, dolcezza rubata e barlume d'intimità concessegli da quel
tratto di strada affrontato sul suo motorino.
Era
una bella giornata, il sole era alto nel cielo e risplendeva sul
mare, alcuni gabbiani garrivano in lontananza e volteggiavano adagio,
appena sospinti dalle fievoli correnti che lambivano quell'angolo di
costa.
-
Wow! - esclamò entusiasta Desirée.
-
Già, wow - disse lui, guardando verso di lei, che saltellando
s'avvicinava alla riva.
-
Guarda che non funziona - ribattè lei, facendogli la linguaccia.
-
Attenta, sono molto più grosso di te!
-
Tsè, non avresti una sola chance incrociando i tuoi pugni con me...
Sono troppo forte! - asserì scherzosamente la ragazza, tirandolo per
un braccio e facendolo salire sulla sua schiena. Al primo passo in
avanti sbandarono di quasi due metri verso destra, e così pure nel successivo, verso sinistra. Procedettero fino alla fine della
banchina, in quel moto barcollante e sghignazzante, e per poco non
finirono in acqua. Si strinsero ad un palo posto alla fine del
pontile, quando Simone scese avevano entrambi le lacrime agli occhi e
restarono lì aggrappati a ridere, come avessero paura di cadere.
-
Wow! - sussurrò nuovamente lui appena riuscì a rifiatare,
guardandola dritta negli occhi.
Lei
si mise in punta di piedi e gli diede un bacino sulla guancia,
fugace, per poi riabbassarsi e voltarsi verso il mare.
Era
stato un attimo, ma Simone l'aveva vista avvicinarsi e aveva sperato
lo baciasse sulla bocca. Ciò nonostante, nel momento in cui le
labbra di lei, calde e delicate, gli si erano poggiate sulla pelle,
ad appena un soffio dalle sue, i contorni del litorale, i gabbiani
nel cielo e la linea dell'orizzonte, ogni cosa si era fatta sfumata,
in un'immagine astratta che pareva rappresentare l'infinito.
Da un
po' se ne stavano lì a guardare il tramonto, facendo finta di
trovarsi dall'altro lato del mondo, in Madagascar, ad osservare il
sole inabissarsi nel canale del Mozambico, tingendolo di un rosso
infuocato, qua e là lembi dorati. Tratteggiavano insieme avventure
impossibili al di là dell'oceano, mentre quell'incredibile
spettacolo si consumava di fronte ai loro occhi.
- Non c'è quasi più luce, andiamo prima che mi telefonino i miei...
Mi aspettano per cena! - suggerì lei, quando ormai era il
crepuscolo, avviandosi verso il motorino.
- Aspetta, non voglio che sia da nessun'altra parte.
-
Cosa? - chiese Desirée voltandosi.
Simone
la prese per un braccio e la baciò. Si sentì colpire da una cascata
di emozioni vivide e celestiali che non riteneva nemmeno possibili,
rivedeva la loro andatura traballante sul pontile e sentiva
distintamente chiedere se qualcuno volesse un Twix, mentre si
tuffavano nudi nell'Oceano Indiano ornato di fiamme. Le lingue
roteavano e si rincorrevano in quel bacio che era presente, passato e
futuro, le mani di Simone sfioravano le curve di lei attraverso i
jeans, giunte alle cosce la sollevò, mentre Desirée, che non toccava più per terra, carezzava le larghe spalle di lui, tenendolo
stretto come fossero in volo.
Quella
settimana, si videro tutti i giorni. In quello che ormai era un rituale, si trovavano nella zona ristoro a scambiarsi
barrette nelle pause, pause che attendevano
impazientemente durante lo studio, carceriere incorporeo della
bramosia reciproca. Lui la portò addirittura a casa, dove nessuna
ragazza era stata dopo di Elisa: ritinteggiarono camera sua di
colori sgargianti, ormai si era stancato del bianco e di
quell'arredamento scarno. Alla fine della giornata, quella stanza
pareva la raffigurazione del sogno ubriaco di un espressionista astratto, e loro non erano certo meno variopinti. Si scambiarono baci
iridescenti, lasciando impronte colorate un po' ovunque sul corpo
dell'altro.
Lui
era andato a farsi la doccia, mentre lei cercava di pulirsi i capelli
nell'acquaio in cucina. Canticchiava allegro passandosi la spugna
sulle croste di vernice, quando lei entrò sorridendo nella doccia.
Il ragazzo, colto di sorpresa, si vergognò più che altro per quanto
fosse stonato, più che per il fatto che fossero per la prima volta
nudi insieme. Si avvicinò a lui lentamente, fino a giungere sotto il
getto dell'acqua. Simone osservò il flusso bagnarle i capelli e
scorrerle sul viso, passare veloce sulle spalle minute e poi sui seni
vibranti, sfiorarle i fianchi fino ad accarezzarla ovunque,
tiepidamente. Sentì il suo sesso gonfiarsi, premendolo sul bacino di
lei, quando la baciò. Le loro mani correvano liberamente sulla pelle
dell'amante, scivolando sul pelo dell'acqua. Entrato dentro di lei,
ebbe l'impressione di eseguire una danza carnale che quasi lo
possedeva: la alzò per le natiche e la poggiò contro la parete del
box doccia, e lei, sospinta contro il vetro freddo, si lasciò sfuggire un guaito leggero. La pittura non
si era ancora lavata completamente, così, mentre i loro respiri
serrati raggiungevano la stessa cadenza, le loro sagome colorate finirono per regalare ai
vetri tinte scarlatte, chiazze cobalto e giallo girasole, con
sfumature di giada e di indaco.
Si
baciarono affettuosamente, alla fine del rapporto. E rimasero un
altro po' nella doccia, a rimuovere le macchie della vernice e a
prendersi cura del corpo amato.
-
Alley Oop, l'uomo delle caverne! - lo prese in giro Desirée, mimando
un uomo preistorico che sollevava una preda per poi portarsela via.
Lui
rise, impersonando per un po' la parte dello scimmione. Era felice.
Sedevano sul divano, guardando la televisione abbracciati. Per quasi un anno, aveva creduto di voler tornare con Elisa, e per un periodo almeno altrettanto lungo avrebbe voluto cancellare ogni testimonianza di lei dalla sua memoria, qualunque testimonianza di loro. Sfregare tutte le tracce che insieme avevano lasciato con una gomma in grado di sbiadirle, a poco a poco, fino a renderle invisibili: Elisa sarebbe stata un ricordo mai esistito. Inutile dire che non ci fosse riuscito, nonostante ci avesse provato in tutti i modi: aveva pianto fino allo sfinimento, si era gettato a capofitto nello studio, era uscito ogni sera per settimane con i suoi amici, aveva stretto altre donne, aveva bevuto tanto da dimenticare i precedenti due giorni. E aveva ricominciato, cambiando l'ordine degli elementi di quel ciclo distruttivo, sperando così in un maggiore successo, che però non era arrivato.
Sedevano sul divano, guardando la televisione abbracciati. Per quasi un anno, aveva creduto di voler tornare con Elisa, e per un periodo almeno altrettanto lungo avrebbe voluto cancellare ogni testimonianza di lei dalla sua memoria, qualunque testimonianza di loro. Sfregare tutte le tracce che insieme avevano lasciato con una gomma in grado di sbiadirle, a poco a poco, fino a renderle invisibili: Elisa sarebbe stata un ricordo mai esistito. Inutile dire che non ci fosse riuscito, nonostante ci avesse provato in tutti i modi: aveva pianto fino allo sfinimento, si era gettato a capofitto nello studio, era uscito ogni sera per settimane con i suoi amici, aveva stretto altre donne, aveva bevuto tanto da dimenticare i precedenti due giorni. E aveva ricominciato, cambiando l'ordine degli elementi di quel ciclo distruttivo, sperando così in un maggiore successo, che però non era arrivato.
In
quel preciso momento, sentendo l'odore di Desirée aveva l'impressione di
inspirare felicità: della sua vecchia relazione, non gli importava.
Realizzò che il ricordo di Elisa lo avrebbe sempre accompagnato, ma
stava a lui decidere il peso che avrebbe avuto nella sua vita futura:
da macigno divenne carta, un grande foglio su cui si intrecciavano
storie, felici o sofferenti, che ormai si era stufato di leggere.
Reni e polmoni erano al loro posto e finalmente non si sentiva più
difettoso.
- Ti
fumano le orecchie! - disse Desirée ridacchiando, avendo notato il
silenzio di Simone, dopodiché gli alzò la maglietta e gli fece una
pernacchia sulla pancia.
- E a
te i piedi! - scherzò lui subito dopo.
-
Ahhh senti chi parla! - ribatté lei, colpendolo con un cuscino,
dando il via a una battaglia che li allontanò definitivamente dal
film che stavano guardando.
Dovevano
pranzare insieme verso l'una, ma non riusciva a contattarla, Desirée
aveva il telefono scarico da tutta mattina. Non era preoccupato,
sperava di trovarla ancora sui libri, poi sarebbero andati in mensa.
Era ancora a un centinaio di metri dall'ingresso della biblioteca,
quando Simone la scorse abbracciare un ragazzo, alto e coi capelli
lunghi, che non aveva mai visto. Rimase impietrito per un attimo e,
incredulo, la osservò sfrecciare via su un chopper, insieme a quel
tipo.
- Ma
chi cazzo ce l'ha in Italia oggi l'Harley-Davidson? - si lasciò
sfuggire lui, come sperando che lei lo sentisse.
Era
una situazione paradossale, quasi credeva che da un momento all'altro
sarebbe sbucato fuori un tizio rivelandogli come in realtà fosse
tutta una burla televisiva. Ma così non fu.
Trascorso
un tormentato pomeriggio di studio, si era recato a casa di lei nella
speranza di avere perlomeno sue notizie, ma non c'era nessuno. Rimase
seduto sul gradino per una mezz'ora. D'altronde i genitori di Desirée
erano separati, ma non aveva idea di dove abitasse il padre. Il
cellulare era ancora spento. Passò la notte quasi del tutto in
bianco, in parte preoccupato per lei, in parte figurandosela intenta
a strusciarsi su quello spilungone dalla chioma ribelle. Diamine, se
gli fosse capitato a tiro.
L'indomani,
tornò a suonare al suo campanello. Ormai era davvero in ansia, non
dava più molta importanza al ragazzo della fuga. Non ricevendo
risposta, si diresse nuovamente verso la sala studio, per passarvi la
mattinata. Dopo mangiato, non ne poteva più di quella sensazione
d'angoscia che lo consumava dall'interno: studiare era impossibile, avrebbe
fatto un giro sul lungomare.
Niente
di quel posto era come se lo ricordava, e dire che c'era stato appena
una settimana fa. I suoi polmoni erano saturi dei miasmi di quel combustibile infernale, persino le navi gli disturbavano la vista. La caramella
che masticava aveva ormai un sapore nauseabondo, sopraffatto dal
disgusto la sputò in acqua.
Montò
sul motorino intenzionato a tornare a casa.
Era
di nuovo in città, fermo al semaforo. Di fronte a lui, sfrecciavano macchine orizzontalmente, da un lato all'altro dell'incrocio.
Neppure ci faceva caso, fino a quando non passò quel chopper.
Capelli lunghi, carenatura azzurra... Ma sì, maledetto, era proprio
lui! Simone non ci stette neanche a pensare, partì con il rosso, s'
immise zigzagando tra i veicoli e iniziò l'inseguimento. Il cuore
gli batteva all'impazzata, nemmeno sapeva cosa stesse per fare:
l'unica cosa certa era che ormai li separavano poco più di
duecento metri. Prima che potesse raggiungerlo, il capellone entrò
nel parcheggio dell'ospedale e, lasciata la moto, prese la via dei
poliambulatori. E Simone, ormai poco distante, lo rincorreva. “Ci
mancava solo l'ospedale. Guarda, se le hai fatto del male giuro
che... Giuro che... Non lo so, ti faccio a pezzi. E se fosse caduta
dalla moto? Cazzo!”. Lo aveva perso, in quei dannati corridoi, svoltò casualmente a sinistra, si
ritrovò in una sala d'attesa e... Desirée! Lei lo vide, gli corse
incontro e, prima che potesse dire qualsiasi cosa, lo strinse forte.
Simone
si accorse che lei, con il viso sprofondato nel suo petto, piangeva.
Non disse niente, passate quelle trenta ore d'inferno averla lì, viva e
vegeta, era un sollievo immenso, sebbene vederla in lacrime gli
provocasse una leggera fitta tra le costole.
-
L'ha presa - mormorò lei tra i singhiozzi - quell'automobile l'ha
presa in pieno.
-
Chi?
- Mia
mamma.
Lui
le baciò la fronte, cingendola tra le sue braccia, come volesse
circondarla con un velo riflettente, che avrebbe rimbalzato via ogni
dispiacere.
- La
stanno operando adesso. Mio fratello è passato ieri a dirmelo in
università, siamo stati qui tutta notte...
“Fratello?
Fratello!” Simone si sentiva un tale stupido, ora che era a
conoscenza di come si erano svolti gli eventi. In un attimo si riebbe
e, per consolarla, le disse che sarebbe andato tutto bene. In verità
lo sapeva, che le cose sarebbero andate bene: dalla sua mutilazione
si era ripreso completamente, sarebbe guarita anche la madre di lei.
Aveva impiegato un po' di tempo per prenderne coscienza, ma in fondo,
una parte di lui lo aveva sempre saputo, da quando girandosi aveva
visto il sorriso luminoso di lei risplendere su quella seconda
barretta di cioccolato.
Quando
Desirée appoggiò le labbra tremanti su quelle di Simone, tutto
sfumò dolcemente: il vociare delle infermiere e i cigolii delle
ruote dei lettini si fecero sempre più fievoli, fino a divenire
impercettibili, le camere e i corridoi scomparvero e, loro due soli,
si tuffarono nelle acque vermiglie e roventi dell'Oceano Indiano.
non leggevo un racconto così bello da davvero troppo tempo... bravissimo elio!!
RispondiEliminagrazie mille Carmelo, apprezzo veramente! quando ti va, ce n'è un altro mio nella cartella di Novembre... :D
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