giovedì 21 febbraio 2013

Caramello, Elio Brunetti

Torno a pubblicare un racconto della catena, dopo questo lungo silenzio. Si ricollega al racconto di Prisca, Friabile, mediante la frase "ricordo mai esistito".
Vi anticipo che questo brano era nato come un "racconto di S.Valentino", sdolcinato e leggero, poi il 14 febbraio è passato, tra una cosa e l'altra, così la storia si è complicata. Insomma, non è sempre Natale. (che genio - direte voi - se è S. Valentino non è Natale!)
Non avevo mai scritto nulla di "rosa", il nostro gioco mi è sembrato una buona occasione. 


Ecco l'elenco dei parametri forzati da Story Spinner:

Ambientazione: molo
Incipit: Immerso nei suoi pensieri – tradotto liberamente da “Left to my own devices”
Parole da utilizzare: sfuocato, nauseabondo, naftalina e cascata.

Caramello, 
di 
 Elio Brunetti

Immerso nei suoi pensieri, con lo sguardo perso da qualche parte oltre l'orizzonte, Simone inspirava masochisticamente, saturandosi di gasolio, o perlomeno così gli pareva. In altri giorni avrebbe sentito la brezza salmastra, scrutando le onde avrebbe respirato quell'aria ricca di iodio un po' come un bambino mangia un gelato al parco d'estate; e invece no, al posto delle navi di sempre, maestose e libere, c'erano quegli ammassi di latta da quattro soldi, messi lì a dondolare davanti a lui per deturpargli il panorama mentre il bunker oil, sospinto verso la riva dal vento, lo intossicava con le sue esalazioni. Ora più che mai, odiava sé stesso per conoscere quello stupido termine, ce l'aveva a morte con tutti i carburanti e coi loro mille nomi ridicoli, assurdi almeno quanto la pretesa di farli sembrare diversi, ed era fermamente convinto di aver fatto una pessima scelta decidendo di passare il pomeriggio al molo. La caramella che aveva in bocca era divenuta una pallina di naftalina, la sputò in acqua e la osservò affondare.
Niente di quel posto era come se lo ricordava, e dire che c'era stato appena una settimana fa. Sette giorni prima, c'era molto più sole; le correnti erano sbuffi eterei ed il tempo aveva rinunciato ad ogni logica, a quella sua prevedibile sequenzialità. Ripescando nella propria memoria, una frase pareva responsabile per l'origine di tutto questo, quattro parole pronunciate a mezza voce, rivolte a tutti e a nessuno: 

- Qualcuno vuole un Twix? -. Poco più in là, due ragazze un po' denutrite affrontavano un serrato dibattito, gesticolando a più non posso, un po' come se avessero voluto affettare l'aria con le loro mani sottili; dei ragazzi ridacchiavano chiassosamente, due stavano con la schiena appoggiata al muro, altri tre posti di fronte a loro chiudevano il cerchio, quasi piegati dalle risate, mentre la loro amica bionda, divenuta improvvisamente bordeaux in volto, non sapeva se fare la disinvolta od andarsene; altri studenti andavano e venivano, schivando quelli fermi lì in piedi a bere il caffè o a soffiarci dentro, se era troppo caldo. Quella domanda si librò delicatamente nel rumore di fondo, alcuni di loro si girarono, distrattamente, come a scacciare una mosca posatasi su una guancia, per poi tornare in men che non si dica alle loro occupazioni, per non restare indietro rispetto a chi non si era voltato affatto.
- Nessuno voleva prendere un Twix? - ritentò timidamente lei, sfoggiando un sorriso un po' imbarazzato. 
- Io pensavo a qualcosa del genere... - si era fatto avanti Simone, senza capire bene cosa volesse quella ragazza.
- Ecco, ho premuto 50 per la barretta di muesli ma è uscito questo... Magari, se riesci a prendere la barretta, ce li scambiamo! -. Terminata la frase, scosse la testa per spostare la ciocca ribelle che le era finita di fronte agli occhi, quindi allargò il sorriso più che poté.
Era davvero carina, con quei suoi modi spontanei e gli occhioni grandi, da cerbiatta, irrequieti dietro alla montatura spessa che si appoggiava appena sulla punta del naso, come sostenuta da un filo invisibile. Aveva lunghi capelli castani, lisci si sarebbe potuto dire, o lievemente ondulati, sebbene si scatenassero ad ogni impercettibile movimento di lei. - 50 è il prezzo, per la barretta devi premere 32 – disse lui mentre eseguiva le sue stesse indicazioni, cercando un tono di voce adatto a non sembrare saccente - Tieni - concluse passandole la barretta, ricambiando il sorriso di lei.
Lei rise, cercò di ricomporsi, quindi scoppiarono a ridere entrambi. Iniziarono a chiacchierare e continuarono senza sosta, scherzando senza imbarazzo e saltando di palo in frasca con estrema naturalezza, per essere interrotti solamente dalle lamentele della fila che si era formata dietro di loro, che se ne stavano ancora lì, l'uno di fronte all'altra, proprio davanti alla macchinetta. Si chiamava Desirée, faceva pernacchie ai comizi dei politici od ogni volta che ne nominavi uno, sognava di passare le successive estati viaggiando in un furgoncino Volkswagen, amava la danza e non aveva più sciato da quando, a sette anni, le erano venuti i geloni ai piedi.
Simone doveva tornare sui libri, così la salutò e le diede appuntamento a più tardi, dirigendosi verso la sala studio mentre lei prendeva una seconda barretta da sgranocchiare fra una pagina e l'altra. Gli ronzava ancora in testa la sua voce, quella parlantina vivace e spregiudicata con cui in pochi minuti era riuscita a toccare tasti solitamente premuti solo in situazioni di grande confidenza. Si sforzava di mantenere la calma, di lì a poco doveva ricominciare a studiare, ma in qualunque direzione cercasse di indirizzare la sua mente, vi trovava sentieri segnati da briciole che una volta percorsi riportavano a lei. Non aveva ancora raggiunto la sedia, quando sentì un dito tamburellargli la spalla, quindi si voltò: 
- Ho un regalo per te, ho sbagliato di nuovo! - bisbigliò lei sorridendo, turbando per un istante l'equilibrio di quella sala silente, come una goccia che, staccatasi dal rubinetto, impatti l'acqua queta dentro a una vasca da bagno. 
“Che svampita!”, aveva pensato Simone, mentre prendeva lo snack dalle sue mani, avvertendo un inaspettato turbamento, come ci fosse molto di più, in quel semplice gesto.

Il suo senso dell'umorismo le andava a genio, non che dicesse cose particolarmente insolite o che fosse un comico nato, ma aveva cercato da subito una loro dimensione, senza nemmeno rendersene conto erano divenuti gli unici abitanti di una bolla in cui ogni gesto ed ogni battuta erano relativi ad un gioco che era solamente loro. Ad un primo sguardo era difficile notare in lui un tratto distintivo, era alto un po' più della media, capelli scurissimi, corti e poco curati, di certo non vestiva in modo appariscente, ma aveva occhi neri talmente profondi da dare un senso di vertigine a chi li osservasse attentamente: Desirée vi era scivolata dentro e faticava ad uscirne. Per questo aveva accettato di andare sul lungomare con lui il pomeriggio successivo, sebbene lo conoscesse appena: non era stata una vera e propria decisione, ma si sentiva felice e smarrita, era in balia di un cocktail di emozioni forti e confuse, intenso abbastanza da farle abbassare la guardia.

Tornato a casa poco prima di cena, Simone salutò il padre e si diresse in camera sua, per poi distendersi immediatamente sul letto. Per un po' tenne i piedi sospesi in aria, quindi si stufò e si sfilò le scarpe senza aiutarsi con le mani. Non ne sentì nemmeno il tonfo: respirava affannosamente, gli mancava l'aria; aprì la felpa e slacciò i pantaloni, cercando un'improbabile identità di comodità e tranquillità. Perché le aveva chiesto di uscire? Era stata senza dubbio una pessima idea, o più che un'idea, una pulsione istintuale, le parole gli erano uscite di bocca senza che avesse potuto pensarci.
Era stato a letto con altre due donne, da quando le cose con Elisa erano andate a scatafascio, ma erano state esperienze misere ed inconsistenti. Non che loro ne avessero colpa, poverine, lui aveva anche creduto di volerle. In entrambi i casi si era reso conto del contrario nel momento peggiore, mentre, sudati ed avvinghiati, ansimavano insieme: le aveva osservate, stranito, si era scusato e se n'era andato senza finire. Alcune ore dopo quella prima brutta esperienza, si era reso conto di quanto fosse stato squallido lasciarla così all'improvviso, poteva quasi sembrare si fosse ricordato di avere un impegno più importante, mettendo fine al loro rapporto senza spiegazioni, come avesse chiuso un libro privo di mordente. Quando era uscito con la seconda ragazza era partito con la speranza che le cose potessero funzionare e si era ripromesso che in ogni caso avrebbe avuto un comportamento più rispettoso: tutto era andato bene, così bene che avevano finito per perdere il controllo, a casa di lei, sdraiati davanti al caminetto. Le aveva accarezzato l'ombelico, era sceso con le labbra fino a baciarla, soavemente, tra le cosce; una carezza dopo l'altra, era entrato dentro di lei, che gemeva delicatamente e stringeva a sé la schiena di lui. D'un tratto, Simone si era visto in quell'atto d'amore come avrebbe potuto guardare al più orrendo dei crimini: odiava il corpo di lei e odiava sé stesso per essere arrivato fino a quel punto, pensò a quanto fosse assurdo avercela così tanto con una persona incolpevole e quindi sentì che continuando le avrebbe fatto un torto ancora più grande. Dopo averle accennato qualcosa, si era infilato i pantaloni, con dentro chiavi e portafoglio, ed era corso via, scalzo e a torso nudo, mentre fuori nevicava.
Erano passati circa due mesi, da allora. Quelle ragazze, carine e gentili, ciascuna a suo modo, poco c'entravano con l'accaduto ed il punto era proprio questo: andata in pezzi la storia con Elisa, nulla sembrava più avere a che fare con lui, con la sua vita. Nemmeno lui stesso. Faticava enormemente a riconoscersi, proiezione sfuocata del Simone di sempre, provava a studiare e ad andare avanti, giorno dopo giorno, ma più rifletteva più si convinceva che lei, in quell'addio si fosse portata via un'enorme parte di lui, assieme al pigiamino viola e alle altre carabattole che aveva sparso per casa. Come se, con il lungo tempo passato insieme, avessero finito per fondersi in una creatura sola, avente due personalità distinte ma sempre in un contatto profondo, al punto di provare le stesse emozioni: quando se n'era andata, in quella scissione frettolosa lei aveva guadagnato almeno un rene e mezzo polmone, lasciandolo inevitabilmente e insanabilmente guasto. Se si escludevano le cotte infantili, non aveva amato altre ragazze oltre ad Elisa: per assurdo, era sempre stato bene con sé stesso, in precedenza, e non aveva mai avvertito particolari mancanze. Adesso invece si sentiva perennemente solo, sensazione che alle volte si acuiva quando si trovava in mezzo alla gente, perché diveniva palese che il suo vuoto, difetto anatomico, non poteva essere colmato. Lei avrebbe saputo come fare, poggiando testa e riccioli sul petto di lui, ma lo aveva tradito e non si sarebbe mai perdonata per questo: anche se lui ci fosse riuscito, non sarebbe bastato. Era finita.

Simone aprì gli occhi: a quanto pareva, si era addormentato; tutto sommato, non doveva essere poi così nervoso, se si era appisolato. Ripensò allo sguardo vivace di Desirée e rise, immaginandola in vacanza su un furgoncino arcobaleno pieno di hippie ancora più suonati di lei. No, passare un po' di tempo con quella ragazza non avrebbe proprio potuto fargli male.

Parcheggiarono lo scooter di lui a pochi metri dal molo, lei scese e liberò i lunghi capelli dal casco, che immediatamente presero la piega suggerita dal vento, ancora e ancora, parrucchiere instancabile e mai pienamente soddisfatto. Simone poteva ancora sentire le mani di lei premute sul suo ventre, dolcezza rubata e barlume d'intimità concessegli da quel tratto di strada affrontato sul suo motorino.
Era una bella giornata, il sole era alto nel cielo e risplendeva sul mare, alcuni gabbiani garrivano in lontananza e volteggiavano adagio, appena sospinti dalle fievoli correnti che lambivano quell'angolo di costa.
- Wow! - esclamò entusiasta Desirée.
- Già, wow - disse lui, guardando verso di lei, che saltellando s'avvicinava alla riva.
- Guarda che non funziona - ribattè lei, facendogli la linguaccia.
- Attenta, sono molto più grosso di te! 
- Tsè, non avresti una sola chance incrociando i tuoi pugni con me... Sono troppo forte! - asserì scherzosamente la ragazza, tirandolo per un braccio e facendolo salire sulla sua schiena. Al primo passo in avanti sbandarono di quasi due metri verso destra, e così pure nel successivo, verso sinistra. Procedettero fino alla fine della banchina, in quel moto barcollante e sghignazzante, e per poco non finirono in acqua. Si strinsero ad un palo posto alla fine del pontile, quando Simone scese avevano entrambi le lacrime agli occhi e restarono lì aggrappati a ridere, come avessero paura di cadere.
- Wow! - sussurrò nuovamente lui appena riuscì a rifiatare, guardandola dritta negli occhi.
Lei si mise in punta di piedi e gli diede un bacino sulla guancia, fugace, per poi riabbassarsi e voltarsi verso il mare.
Era stato un attimo, ma Simone l'aveva vista avvicinarsi e aveva sperato lo baciasse sulla bocca. Ciò nonostante, nel momento in cui le labbra di lei, calde e delicate, gli si erano poggiate sulla pelle, ad appena un soffio dalle sue, i contorni del litorale, i gabbiani nel cielo e la linea dell'orizzonte, ogni cosa si era fatta sfumata, in un'immagine astratta che pareva rappresentare l'infinito.

Da un po' se ne stavano lì a guardare il tramonto, facendo finta di trovarsi dall'altro lato del mondo, in Madagascar, ad osservare il sole inabissarsi nel canale del Mozambico, tingendolo di un rosso infuocato, qua e là lembi dorati. Tratteggiavano insieme avventure impossibili al di là dell'oceano, mentre quell'incredibile spettacolo si consumava di fronte ai loro occhi.
- Non c'è quasi più luce, andiamo prima che mi telefonino i miei... Mi aspettano per cena! - suggerì lei, quando ormai era il crepuscolo, avviandosi verso il motorino. 
- Aspetta, non voglio che sia da nessun'altra parte.
- Cosa? - chiese Desirée voltandosi.
Simone la prese per un braccio e la baciò. Si sentì colpire da una cascata di emozioni vivide e celestiali che non riteneva nemmeno possibili, rivedeva la loro andatura traballante sul pontile e sentiva distintamente chiedere se qualcuno volesse un Twix, mentre si tuffavano nudi nell'Oceano Indiano ornato di fiamme. Le lingue roteavano e si rincorrevano in quel bacio che era presente, passato e futuro, le mani di Simone sfioravano le curve di lei attraverso i jeans, giunte alle cosce la sollevò, mentre Desirée, che non toccava più per terra, carezzava le larghe spalle di lui, tenendolo stretto come fossero in volo.

Quella settimana, si videro tutti i giorni. In quello che ormai era un rituale, si trovavano nella zona ristoro a scambiarsi barrette nelle pause, pause che attendevano impazientemente durante lo studio, carceriere incorporeo della bramosia reciproca. Lui la portò addirittura a casa, dove nessuna ragazza era stata dopo di Elisa: ritinteggiarono camera sua di colori sgargianti, ormai si era stancato del bianco e di quell'arredamento scarno. Alla fine della giornata, quella stanza pareva la raffigurazione del sogno ubriaco di un espressionista astratto, e loro non erano certo meno variopinti. Si scambiarono baci iridescenti, lasciando impronte colorate un po' ovunque sul corpo dell'altro.
Lui era andato a farsi la doccia, mentre lei cercava di pulirsi i capelli nell'acquaio in cucina. Canticchiava allegro passandosi la spugna sulle croste di vernice, quando lei entrò sorridendo nella doccia. Il ragazzo, colto di sorpresa, si vergognò più che altro per quanto fosse stonato, più che per il fatto che fossero per la prima volta nudi insieme. Si avvicinò a lui lentamente, fino a giungere sotto il getto dell'acqua. Simone osservò il flusso bagnarle i capelli e scorrerle sul viso, passare veloce sulle spalle minute e poi sui seni vibranti, sfiorarle i fianchi fino ad accarezzarla ovunque, tiepidamente. Sentì il suo sesso gonfiarsi, premendolo sul bacino di lei, quando la baciò. Le loro mani correvano liberamente sulla pelle dell'amante, scivolando sul pelo dell'acqua. Entrato dentro di lei, ebbe l'impressione di eseguire una danza carnale che quasi lo possedeva: la alzò per le natiche e la poggiò contro la parete del box doccia, e lei, sospinta contro il vetro freddo, si lasciò sfuggire un guaito leggero. La pittura non si era ancora lavata completamente, così, mentre i loro respiri serrati raggiungevano la stessa cadenza, le loro sagome colorate finirono per regalare ai vetri tinte scarlatte, chiazze cobalto e giallo girasole, con sfumature di giada e di indaco.
Si baciarono affettuosamente, alla fine del rapporto. E rimasero un altro po' nella doccia, a rimuovere le macchie della vernice e a prendersi cura del corpo amato.
- Alley Oop, l'uomo delle caverne! - lo prese in giro Desirée, mimando un uomo preistorico che sollevava una preda per poi portarsela via.
Lui rise, impersonando per un po' la parte dello scimmione. Era felice.

Sedevano sul divano, guardando la televisione abbracciati. Per quasi un anno, aveva creduto di voler tornare con Elisa, e per un periodo almeno altrettanto lungo avrebbe voluto cancellare ogni testimonianza di lei dalla sua memoria, qualunque testimonianza di loro. Sfregare tutte le tracce che insieme avevano lasciato con una gomma in grado di sbiadirle, a poco a poco, fino a renderle invisibili: Elisa sarebbe stata un ricordo mai esistito. Inutile dire che non ci fosse riuscito, nonostante ci avesse provato in tutti i modi: aveva pianto fino allo sfinimento, si era gettato a capofitto nello studio, era uscito ogni sera per settimane con i suoi amici, aveva stretto altre donne, aveva bevuto tanto da dimenticare i precedenti due giorni. E aveva ricominciato, cambiando l'ordine degli elementi di quel ciclo distruttivo, sperando così in un maggiore successo, che però non era arrivato.
In quel preciso momento, sentendo l'odore di Desirée aveva l'impressione di inspirare felicità: della sua vecchia relazione, non gli importava. Realizzò che il ricordo di Elisa lo avrebbe sempre accompagnato, ma stava a lui decidere il peso che avrebbe avuto nella sua vita futura: da macigno divenne carta, un grande foglio su cui si intrecciavano storie, felici o sofferenti, che ormai si era stufato di leggere. Reni e polmoni erano al loro posto e finalmente non si sentiva più difettoso.
- Ti fumano le orecchie! - disse Desirée ridacchiando, avendo notato il silenzio di Simone, dopodiché gli alzò la maglietta e gli fece una pernacchia sulla pancia.
- E a te i piedi! - scherzò lui subito dopo.
- Ahhh senti chi parla! - ribatté lei, colpendolo con un cuscino, dando il via a una battaglia che li allontanò definitivamente dal film che stavano guardando.

Dovevano pranzare insieme verso l'una, ma non riusciva a contattarla, Desirée aveva il telefono scarico da tutta mattina. Non era preoccupato, sperava di trovarla ancora sui libri, poi sarebbero andati in mensa. Era ancora a un centinaio di metri dall'ingresso della biblioteca, quando Simone la scorse abbracciare un ragazzo, alto e coi capelli lunghi, che non aveva mai visto. Rimase impietrito per un attimo e, incredulo, la osservò sfrecciare via su un chopper, insieme a quel tipo.
- Ma chi cazzo ce l'ha in Italia oggi l'Harley-Davidson? - si lasciò sfuggire lui, come sperando che lei lo sentisse.
Era una situazione paradossale, quasi credeva che da un momento all'altro sarebbe sbucato fuori un tizio rivelandogli come in realtà fosse tutta una burla televisiva. Ma così non fu.
Trascorso un tormentato pomeriggio di studio, si era recato a casa di lei nella speranza di avere perlomeno sue notizie, ma non c'era nessuno. Rimase seduto sul gradino per una mezz'ora. D'altronde i genitori di Desirée erano separati, ma non aveva idea di dove abitasse il padre. Il cellulare era ancora spento. Passò la notte quasi del tutto in bianco, in parte preoccupato per lei, in parte figurandosela intenta a strusciarsi su quello spilungone dalla chioma ribelle. Diamine, se gli fosse capitato a tiro.
L'indomani, tornò a suonare al suo campanello. Ormai era davvero in ansia, non dava più molta importanza al ragazzo della fuga. Non ricevendo risposta, si diresse nuovamente verso la sala studio, per passarvi la mattinata. Dopo mangiato, non ne poteva più di quella sensazione d'angoscia che lo consumava dall'interno: studiare era impossibile, avrebbe fatto un giro sul lungomare.

Niente di quel posto era come se lo ricordava, e dire che c'era stato appena una settimana fa. I suoi polmoni erano saturi dei miasmi di quel combustibile infernale, persino le navi gli disturbavano la vista. La caramella che masticava aveva ormai un sapore nauseabondo, sopraffatto dal disgusto la sputò in acqua.
Montò sul motorino intenzionato a tornare a casa.

Era di nuovo in città, fermo al semaforo. Di fronte a lui, sfrecciavano macchine orizzontalmente, da un lato all'altro dell'incrocio. Neppure ci faceva caso, fino a quando non passò quel chopper. Capelli lunghi, carenatura azzurra... Ma sì, maledetto, era proprio lui! Simone non ci stette neanche a pensare, partì con il rosso, s' immise zigzagando tra i veicoli e iniziò l'inseguimento. Il cuore gli batteva all'impazzata, nemmeno sapeva cosa stesse per fare: l'unica cosa certa era che ormai li separavano poco più di duecento metri. Prima che potesse raggiungerlo, il capellone entrò nel parcheggio dell'ospedale e, lasciata la moto, prese la via dei poliambulatori. E Simone, ormai poco distante, lo rincorreva. “Ci mancava solo l'ospedale. Guarda, se le hai fatto del male giuro che... Giuro che... Non lo so, ti faccio a pezzi. E se fosse caduta dalla moto? Cazzo!”. Lo aveva perso, in quei dannati corridoi, svoltò casualmente a sinistra, si ritrovò in una sala d'attesa e... Desirée! Lei lo vide, gli corse incontro e, prima che potesse dire qualsiasi cosa, lo strinse forte.
Simone si accorse che lei, con il viso sprofondato nel suo petto, piangeva. Non disse niente, passate quelle trenta ore d'inferno averla lì, viva e vegeta, era un sollievo immenso, sebbene vederla in lacrime gli provocasse una leggera fitta tra le costole.
- L'ha presa - mormorò lei tra i singhiozzi - quell'automobile l'ha presa in pieno.
- Chi?
- Mia mamma.
Lui le baciò la fronte, cingendola tra le sue braccia, come volesse circondarla con un velo riflettente, che avrebbe rimbalzato via ogni dispiacere.
- La stanno operando adesso. Mio fratello è passato ieri a dirmelo in università, siamo stati qui tutta notte...
“Fratello? Fratello!” Simone si sentiva un tale stupido, ora che era a conoscenza di come si erano svolti gli eventi. In un attimo si riebbe e, per consolarla, le disse che sarebbe andato tutto bene. In verità lo sapeva, che le cose sarebbero andate bene: dalla sua mutilazione si era ripreso completamente, sarebbe guarita anche la madre di lei. Aveva impiegato un po' di tempo per prenderne coscienza, ma in fondo, una parte di lui lo aveva sempre saputo, da quando girandosi aveva visto il sorriso luminoso di lei risplendere su quella seconda barretta di cioccolato.
Quando Desirée appoggiò le labbra tremanti su quelle di Simone, tutto sfumò dolcemente: il vociare delle infermiere e i cigolii delle ruote dei lettini si fecero sempre più fievoli, fino a divenire impercettibili, le camere e i corridoi scomparvero e, loro due soli, si tuffarono nelle acque vermiglie e roventi dell'Oceano Indiano.


2 commenti:

  1. non leggevo un racconto così bello da davvero troppo tempo... bravissimo elio!!

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  2. grazie mille Carmelo, apprezzo veramente! quando ti va, ce n'è un altro mio nella cartella di Novembre... :D

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