martedì 27 novembre 2012

Tullband in sospensione, Elio Brunetti

Per iniziare, l'elenco dei parametri forzati da Story Spinner:

Ambientazione: bassifondi

Incipit: (lui) strizzò l'occhio a

Parole da utilizzare:
Gonfio
Tulipani
Barattolo dei biscotti
Zip

Come elemento di continuità da "Prima conoscenza della notte" della nostra Giulia ho preso il personaggio di Katherine nell'appartamento di New York.

Anticipo che mi sono divertito ad allontanarmi un po' dal mio genere... Buona (speriamo) lettura!


Tullband in sospensione
 di Elio Brunetti

Strizzò l'occhio ai suoi demoni, liberando un risolino sardonico, fintanto che le sue labbra non saggiarono l'asfalto.

In quel maledetto angolo di città le sere parevano tutte uguali, dall'odore stantio potevi intuire ci fosse stato un passato, ma non c'era ricordo che non si sciogliesse in una bottiglia di Jack, in ciascuna di quelle bettole di cui il quartiere era pieno; quanto al futuro, doveva aver scelto di abitare ovunque meno che lì. Malik si sentiva quasi fluttuare in quella sospensione colloidale che era il suo presente, poteva muovervisi senza fatica pur tuttavia non avanzando in alcuna direzione.
Guardò il muro attraverso al vapore, Malik: non sembrava esistere abbastanza birra per sanare la sua insoddisfazione, litro dopo litro aveva esasperato la sua vescica fino al punto in cui non avrebbe potuto essere più gonfio; orinando contro il marciapiede, ogni sorso gli ripassava innanzi in quel piccolo rigagnolo termale. Non aveva nemmeno avuto il tempo di alzarsi la zip quando fu avvicinato da quell'uomo dal naso aquilino e dai modi insospettabilmente suadenti, che senza curarsi dell'ubriachezza di Malik gli offrì una manciata di dollari per aiutarlo a portare alcuni bagagli nell'appartamento. Quella fu la prima volta che la vide.

Erano bastati pochi attimi: leggiadra, era scesa dalla macchina e aveva salito le scale, per poi scomparire dentro all'appartamento, non prima di essersi congedata volgendosi per un istante e mostrando così un sorriso discreto e gentile. A Malik parve di non aver mai conosciuto alcuna dolcezza: quel soave piccolo gesto accese un incendio nello sconfinato deserto che si estendeva dentro di lui. Fece avanti e indietro altre due volte nello scaricare l'automobile, ma non gli riuscì più di vederla. Trascorse la notte nel dormiveglia, ritrovandosi di fronte a quello sguardo mite ancora e ancora nei suoi sogni, a quegli occhi bellissimi malgrado la stanchezza evidente, che per un attimo gli si erano posati addosso nella più delicata delle carezze.
Il mattino dopo, Malik si alzò alle prime luci dell'alba, come non gli capitava da tempo e per la prima volta osservando la sua stanza vide le macchie delle infiltrazioni, le bottiglie vuote sparse un po' ovunque e le formiche che alacremente portavano via quel poco che restava di vecchie croste di pizza: provò disgusto. Questa giornata sarebbe stata diversa, avrebbe fatto una vera colazione al posto della consueta birretta al bar all'angolo e, più di ogni altra cosa, avrebbe smesso di compatirsi. Aveva ancora i postumi della sera prima, appoggiandosi al divano e poi al piano dei fornelli arrancò fino al barattolo dei biscotti e lo aprì: ce n'era ancora uno, abbandonato lì da chissà quanto, se lo portò alla bocca e masticò lentamente; radunò quindi tutte le briciole con le dita e ingoiò quei miseri rimasugli. Quindi si fece una doccia veloce, indossò i vestiti che gli parvero più puliti, raccolse in un sacco la spazzatura che ricopriva ogni cosa nel bilocale ed uscì.

Malik si fermò meditativo sulla soglia dell'interno 7B al secondo piano, domandandosi se fosse quello giusto; aveva due tulipani in mano, giocherellava nervoso con le chiavi nella tasca sinistra: prese un respiro profondo e bussò.
Pochi interminabili secondi dopo, una voce femminile chiese da oltre la porta:
   – Chi è?
  – Ehm... Ci siamo visti ieri, sono quello che ha portato su le valigie...
Sentì la chiave girare nella serratura, quindi vide la ragazza osservarlo fugacemente in una fessura tra uscio e telaio per poi richiudere immediatamente.
Malik era ancora abbagliato da quella fuggevole visione, così non realizzò immediatamente di essere rimasto fuori. Dunque udì la catenella della porta ticchettare sul legno e in un attimo gli fu aperta definitivamente.
  – Io sono Katherine – disse lei, inclinando leggermente la testa da un lato ed esibendo un sorriso luminoso e spensierato. Indossava pantaloncini corti rosa e una canottiera azzurra. Era stupenda.
  – Malik – si presentò lui, dopo qualche secondo di silenzio. Poi si guardò le mani e fortunatamente vi trovò i tulipani. – Ecco, per te – continuò lui.
  – Che belli! Grazie mille – esclamò Kathy, avvicinandoli istintivamente al naso.
  – Non profumano granché, lo so – sussurrò lui, ritrovando un po' di naturalezza – E' un fiore originario della Turchia... Come me, ecco. Il loro nome deriva dalla parola “tullband”, che nella mia lingua significa turbante.
  – Sì? Un po' si assomigliano, in effetti. E tu Malik, come stai con il turbante? – domandò lei in tono scherzoso.
  – Male! – risero – Sai, i turbanti possono essere appariscenti e colorati, scuri e discreti, ma in ogni caso tengono al riparo ciò che è... Davvero importante. Io – si interruppe per un po', guardandola negli occhi – Io...


In quel mentre entrò l'uomo dal naso adunco: Malik alla luce del giorno ne notò la camminata strascicata. Sembrava turbato dalla visita di quel giovane dalla pelle olivastra e i capelli d'ebano, che ben poco ricordava l'ubriaco di alcune ore addietro. Domandò come mai si trovasse lì, dunque il ragazzo spiegò di essere tornato in cerca di qualche altro lavoretto, precisando di accontentarsi di pochi spiccioli. L'uomo mandò Katherine a fare la spesa, dandole appuntamento da lì a qualche ora. Quindi si mise a lavorare con Malik a una seconda serratura da applicare all'ingresso, di cui lui solo doveva avere la chiave. Notata l'espressione dubbiosa del ragazzo, accennò qualcosa su un problema di sonnambulismo di Kathy.
Non mancava molto alla fine del montaggio quando l'uomo si accorse dei fiori appoggiati sul tavolo.
– Abbiamo terminato – sentenziò sbattendo la porta in faccia a Malik.

Provò a tornare più volte, ma non ebbe mai alcuna risposta. Pensò a ogni possibile scenario, forse aveva scatenato le ire di lui e si erano trasferiti, forse lei era la sua giovane amante e quell'appartamento lo usavano solo di rado, forse Kathy non voleva più parlargli. Nel frattempo aveva trovato un lavoro ben retribuito come facchino e stava mettendo da parte un po' di soldi per aprire un negozio tutto suo. Avrebbe curato e venduto i fiori più variopinti di New York. Magari un giorno lei avrebbe cercato un tulipano ed una volta entrata, gli si sarebbe parata davanti, meravigliosa e splendente, nella sua serra iridescente.
Non beveva che il sabato sera, col suo amico e collega Paul, un omone di poche parole proveniente dal New Jersey.

Quella mattina all'interno 7B, quella volta in cui l'aveva vista uscire sorridente con i soldi per comprare da mangiare, “insalata magari o forse hot dog oppure chissà, pizza”, era stata l'ultima volta che l'aveva vista. Fino a quel giorno. Stava andando al lavoro di buona lena quando scorse tutta quella folla vicino all'edicola, a parlottare indicando il giornale e poi un qualche punto non ben precisato al di là dell'incrocio. Si fece largo nel capannello e osservò la prima pagina. Ci mise un po' a riconoscerla: l'appartamento era quello, il nome di lei era lo stesso. Improvvisamente gli mancò il respiro e la colazione iniziò ad agitarsi violentemente nel suo stomaco. Le avevano asportato i bulbi oculari ed aveva un pugnale nel petto. Nel cuore. Era morta. Provò ad allontanarsi ma era tardi: vomitò sulla schiena del vecchio che in precedenza aveva indicato la strada.

Quando ormai non riusciva più a reggersi in piedi, lasciò cadere la bottiglia di Jack, vuota, sulla banchina: godette del suono che fece andando in frantumi. Pochi passi più in là, incespicò. In quella lunga, inesorabile caduta, Malik strizzò l'occhio ai suoi demoni, liberando un risolino sardonico, fintanto che le sue labbra non saggiarono l'asfalto.

2 commenti:

  1. In una notte buia, in una casa oscura, ad una tetra porta bussano... toc .. toc ... toc ... ...
    "Chi è?"
    Una figura nera risponde: "Sono Malik, sono venuto a cuocere le uova.."
    Il proprietario allibito lo lascia fare, Malik cuoce e se ne và.
    La storia si ripete per molte notti...
    All'ennesima notte buia, in una casa oscura, ad una tetra porta bussano... toc .. toc ... toc ... ...
    "Chi è?"
    Una figura nera risponde: "Sono Malik, sono venuto a mettere il vino in frigo"
    Il proprietario stupito gli chiede: "Ma come, gli altri Malik cuocevano le..."
    Malik lo interrompe, affermando: "Non tutti i Malik vengono per cuocere"

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  2. Chiunque tu sia, hai la mia stima. Il mio frigo è sempre aperto, Malik.

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